24 OTT - Gentile Direttore,
in questo periodo si registrano numerosi dibattiti e prese di posizione sul fenomeno negativo della crescente burocrazia in sanità. Oggetto di riflessione e contestazione è l’aggravio di lavoro per il medico dovuto agli adempimenti burocratici che sottraggono tempo al contatto tra medico e paziente. Una miglior organizzazione e l’utilizzo di personale amministrativo per le pratiche amministrative è auspicabile accanto alla semplificazione che però non danneggi la privacy.
Per quanto riguarda il paziente Il tempo di comunicazione è classificato dalla legge 219/17 come “tempo di cura” e ciò è fondamentale per sviluppare la dimensione empatica che caratterizza il rapporto di fiducia tra il paziente ed il medico. Questo contatto già di per sé, contribuisce alla diagnosi corretta e ad una terapia efficace. Non possiamo non segnalare, quindi, la contraddizione esplicita che si determina nel momento in cui si ventila l’ipotesi di affidare il consenso informato, la raccolta di notizie anamnestiche e la prescrizione a personale sanitario non abilitato a questo compito.
Peraltro, se la proposta viene formulata da soggetti appartenenti ad organismi istituzionali, non solo contravviene alle disposizioni di legge in atto, cosa già di per sé piuttosto grave, ma ridurrebbe ulteriormente, in modo inaccettabile, il tempo che il medico deve dedicare al paziente negando di conseguenza la necessità di instaurare un rapporto empatico costruttivo. Inoltre, ci chiediamo su chi ricadrebbe la “responsabilità professionale” per scelte terapeutiche errate dovute dell’acquisizione del consenso informato da parte di chi non ha questo compito ed è ovviamente impreparato per una inadeguata informazione sui rischi insiti nelle procedure che interessano il paziente.